Articolo di A.R.Delucca, pubblicato il 6 febbraio 2021
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Potrebbe capitare che uno spettatore non avvezzo al linguaggio dei simboli, contemplando certe opere d’arte, rimanga stupito interrogandosi sul loro significato.
Casomai, non osando chiedere chiarimenti per non fare la figura dell’incolto, va a rimestare nei cassetti dei suoi ricordi, se per caso gli sia capitato di aver già visto qualcosa di simile o di aver letto qualche argomento inerente al misterioso oggetto di osservazione.
Ebbene, a volte è davvero impossibile riuscire ad addentrarsi in un’opera d’arte, se non si possiede una conoscenza specifica di ciò che mostrano musei e gallerie.
Allora ci abbandoniamo ad esclamazioni di stupore: << Ma quanto è bello !!!>> non sapendo spiegarci il perché, nonostante dentro di noi, esploda un istintivo bisogno di esprimere il nostro gusto.
La cosa che diverte di più un cultore della materia, nel frequentare le mostre, è sentire i commenti di sedicenti esperti che sproloquiano giudizi strampalati, denotando la propria totale ignoranza sull’opera d’arte che stanno osservando.
Vogliamo fare un esempio?
Supponiamo di trovarci davanti ad un quadro bellissimo ma che potrebbe risultare ambiguo, agli occhi un profano: “San Giovanni Evangelista” , dipinto dal maestro fiorentino Piero di Cosimo, all’inizio del XVI ° secolo e conservato all’Academy of Arts di Honolulu
Cosa vedono i nostri occhi?
Un giovane imberbe, dal volto levigato, quasi femmineo, con lunghi capelli, finemente ondulati, che assorto in atavica preghiera, fissa lo sguardo sul calice d’oro dell’ Eucarestia mentre con una mano lo benedice, solennemente.
In primo piano, però, al posto del vino, guizza un serpentello vispo e vivace che pare voler dire la sua, la bocca ben aperta, pronta a mordere.
Come mai il santo non si scompone, anzi benedice?
E soprattutto, che cosa ci fa un aspide nel calice eucaristico ?
L’ iconografia antica, seppure non di norma, propone vari esempi di questo tipo.
Nella basilica di S.Magno a Legnano (Mi), è conservata un’ elegante tavola del Giampietrino (GiovanPietro Rizzoli), allievo di Leonardo, che raffigura il medesimo soggetto.
Inoltre è da citare, come esemplare più antico – risalente agli anni ‘20/’30 del XV secolo- il Polittico dell’ agnello Mistico realizzato dai fratelli Jan e Hubert van Eyck, custodito nella cattedrale di san Bavone a Gand ( Belgio), in cui è presente un pannello monocromo che raffigura San Giovanni con calice e serpi
L’osservatore non esperto di simbologie religiose, potrebbe farsi sviare da racconti poco accorti – e a volte, totalmente inventati da qualche buontempone che decida di spiegare l’opera secondo giudizi, per così dire, ‘ scarsamente scientifici ’ – e iniziare a credere che un giovane dai tratti delicati e fluenti capelli, benedica un serpente celando messaggi esoterici di chissà quale setta massonica o complottistica dell’antichità, a cui l’ artista stesso, sarebbe potuto appartenere.
Spiace deludere ma la storia dell’arte è molto più realistica e concreta di quanto a volte non paia, essendo strettamente legata al tempo in cui le opere furono realizzate, alla mentalità e società dell’epoca, alla vita pratica, alle circostanze, al pensiero e -perché no- alla psicologia dell’artista; ma proprio per questo è di gran lunga più interessante nella propria realtà, piuttosto che infarcita di strane teorie, spesso senza fondamento, che puntualmente vengono smentite dal primo ‘ficcanaso’ che ‘pretende’ di voler studiare in modo approfondito, quanto gli viene propinato dai racconti di qualche novello scrittore che tenta di farsi strada gridando a gran voce, scoperte sensazionali, quasi sempre infondate.
Ma che gl’ importa se quello è il modo più adatto per lanciarsi in sfavillante carriera?
Non gli fa scrupolo neppure divulgare fake news inconsistenti, riguardo ad un’ opera d’arte o ad un celebre artista: tanto quello ormai è già all’altro mondo da un bel po’ di tempo… magari da secoli!
In fondo che danno farà mai il ‘povero’ divulgatore nel desiderare po’ di fama ?!
Il risultato è che si crea una bella confusione interpretativa, provocando equivoci che, certe volte, diventano inestricabili.
In campo scientifico e nei centri di studio accreditati, il problema non si pone perché ci si attiene a ricerche ufficiali, ma nel mondo generico dell’ informazione, non è sempre facile filtrare le nozioni.
Nella fattispecie, fissando l’attenzione sulla figura di San Giovanni Evangelista ( ritenuto l’ autore del IV° Vangelo, di tre Lettere e del libro dell’ Apocalisse, sebbene fonti non ufficiali gli attribuiscano taluni testi d’ epoca assai posteriore) si riscontrano interpretazioni controverse, ampliate negli ultimi anni, soprattutto sul perché l’iconografia lo abbia, per lo più, ritratto con lineamenti piuttosto femminili.
Ultimamente va alquanto di moda identificare la figura del S.Giovanni giovane, con quella di Santa Maria Maddalena, ad esempio nella decifrazione di celebri quadri tra cui l’ Ultima Cena di Leonardo da Vinci.
In realtà, non esiste alcun valido motivo per accreditare tale identificazione, perché la figura di S. Giovanni viene, storicamente, rappresentata in veste di giovinetto, poco più che adolescente, in tutta la tradizione iconografica: si tratta, infatti, dell’apostolo più giovane del gruppo e forse proprio per questa caratteristica, era ritenuto il prediletto di Gesù, secondo il suo stesso Vangelo (Giov. 19 – 26,27), probabilmente perchè più bisognoso d’essere protetto, d’ essere correttamente guidato, nella sua verde età.
Gesù, nel momento in cui sta per spirare sulla croce, affida Giovanni a Maria e la Vergine, a sua volta, è affidata al giovane discepolo, adolescente dallo spirito ancora ingenuo e puro; ma quel giovane avrà una vita lunga, potrà fare esperienza e ne trarrà la linfa per narrare l’insegnamento del suo divino maestro, tanto da divenire colui che, secondo la tradizione, profetizzerà l’ Apocalisse ossia la Rivelazione della seconda venuta del Messia.
Gli attributi tipici dell’ iconografia giovannea sono l’aquila e il libro perché nel prologo del suo Vangelo, egli narra che la parola di Dio lacera le tenebre per trarne fuori la luce, così come l’aquila può volare tanto in alto da fissare il sole senza accecarsi.
Ma l’aspide, nel calice eucaristico, che cosa c’ entra?
Alcuni Padri della Chiesa, scrissero agiografie ( raccolte di vite, testimonianze e leggende dei santi) su Giovanni Evangelista.
In una di queste narrazioni, Tertulliano, riporta che sotto l’impero di Domiziano ( 51-96 d.C), persecutore dei cristiani, il santo scampò miracolosamente alla morte: fatto immergere in un calderone d’olio bollente, ne uscì indenne.
Una provocazione che Giovanni colse, sicuro che Dio non lo avrebbe abbandonato: chiese perciò una coppa di veleno, la bevve e rimase sano.
L’imperatore, allora, costrinse altri presenti a bere lo stesso veleno ma quelli morirono; irritatosi, lo spedì in esilio, nell’ isola greca di Patmos dove avrebbe, poi, scritto il libro dell’ Apocalisse, secondo la tradizione.
E dunque, il serpente?
La Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, elaborata nella seconda metà del XIII° secolo d.C., attesta che il suddetto episodio sarebbe avvenuto ad Efeso e con una variante: dopo la morte di Domiziano, l’imperatore Nerva (96-98 d.C) fu più tollerante con i cristiani, dunque, San Giovanni potè tornare ad Efeso. Qui, il sacerdote del tempio di Diana, ostile alla nuova religione, gli porse una coppa di veleno, dopo che due condannati, avendone già bevuto, erano morti.
A questo racconto si aggancia il modello iconografico classico, che ritrae l’Evangelista con il calice e l’aspide mentre porta la mano sinistra al petto, ma rivela una storia meno conosciuta che probabilmente, la tradizione popolare tramandò secondo canoni autonomi.
L’immagine è collegata al costume in uso per quasi tutto il XX° secolo, di benedire bottiglie di vino ogni 27 dicembre, data celebrativa di san Giovanni Evangelista.
La tradizione narrava che il calice di San Giovanni, ad Efeso, contenesse vino avvelenato. Il santo, però, vi avrebbe apposto sopra, il segno della croce e il vino, improvvisamente, si sarebbe tramutato in un serpente guizzante, tanto da impedirgli di essere bevuto.
Ecco allora, che realtà e leggenda si confondono e lo scorrere dei secoli stende un velo di nebbia. Così, è sempre più arduo discernere la verità sull’accaduto, sull’autenticità degli eventi.
Il tempo insegna a non dare per scontato ciò che appare e allo stesso tempo, induce a non ritenere occulto tutto ciò che non risulta evidente: spesso -seppure non sempre- basta cercare nella storia per comprendere la realtà.
Di fatto, abbinare il vino al calice e inserire la figura del serpente crea un aggancio immediato alle immagini della tradizione biblica e della cultura pre-cristiana.
Ancora una volta, quindi, il percorso degli eventi si intreccia con quello dei racconti.
Il serpente rapido e veloce, fuoriesce da una coppa: un valido espediente narrativo.
Ma perché non un’aquila? In fondo è il simbolo tipico dell’Evangelista: pure in essa il liquido avrebbe potuto trasformarsi e spiccare in volo.
In realtà il veleno si può attribuire al siero del serpente, il cui morso uccide ma se trasformato (in medicina per esempio), può divenire elisir di salvezza.
Il vino, nell’Eucarestia, è simbolo del sangue salvifico di Cristo e il calice lo contiene.
Immolare il corpo divino attraverso il sacrificio per ricavare, dal male, la salvezza, la sanitas per tutta l’umanità. Il siero velenoso del serpente può essere utilizzato per il beneficio, la guarigione. Esattamente come accade in medicina. Usare il virus per creare l’antidoto o il vaccino.
I tasselli del puzzle, dunque, si incasellano perfettamente.
E allora l’ elisir salvifico, di trasformazione, si abbina a pennello con la simbologia della cura, non solo per lo spirito ma anche per il corpo.
Non è un caso se il caducèo di Ermes (Mercurio), oggi, è un simbolo usato nella professione medica accanto a quello di Esculapio ( che ha un solo serpente attorcigliato alla verga); esso è raffigurato con un logo che presenta un bastone alato, attorno al quale si intrecciano due serpenti le cui teste si fronteggiano.
Presso i greci il bastone rappresentava il valore morale oltre che medico perché univa l’ onestà alla prestanza fisica.
Ermes alato era il messaggero degli dei.
Il caduceo, osservato con gli occhi del nuovo millennio, ricorda l’aspetto visivo del codice del DNA umano.
Una curiosa coincidenza.
La simbologia del serpente incarna la trasformazione in questo eterno fluire di vita, morte, rinascita e rinnovamento della natura, che possiamo vedere e ammirare ogni giorno, semplicemente osservando un fiore che sboccia o passeggiando nel verde; questa trasformazione ci appartiene, è parte di noi.
Anna Rita Delucca