Eppure questa parola, che l’era del terzo millennio ignora volentieri, ha un significato profondo, più importante che mai, in una società strenuamente individualista e assetata di esibire il proprio ego.
L’umiltà, al contrario, è una virtù leale che arricchisce le relazioni, invita a valutare docilmente il punto di vista altrui, ma soprattutto esorta a guardare tutti gli esseri umani come individui di pari dignità, senza cedere alla tentazione di ritenersi superiori; si tratta, dunque, di un fondamento irrinunciabile per la convivenza civile, per l’armonia e il rispetto della dignità di ognuno.
Attualmente, le giovani generazioni scontano lo scotto di tale luogo comune (perché di questo si tratta) che mette alla berlina il valore stesso dell’umiltà, classificandolo come un difetto piuttosto che un pregio.
Spesso, poi, la carenza di nozioni linguistiche, dovuta alla sfrenata velocizzazione del linguaggio scritto e parlato (imposta dai messaggi testuali o vocali abbreviati, usiamo quotidianamente, tramite gli smartphone ecc.), crea una tendenza a confondere i significati delle parole -tra cui il senso del termine “umiltà”, troppo spesso scambiato con quello di “sottomissione codarda alla volontà del più forte”.
Niente di più errato dal momento che si tratta di due vocaboli ben distinti: “sottomissione” significa stare soggiogati, obbedire al dominio di qualcuno.
Per “umiltà”, invece, s’intende quella virtù per la quale si riconoscono i propri limiti, evitando orgoglio, superbia, sopraffazione; quindi la differenza di significato, tra queste due parole, è abissale.
Nella realtà quotidiana, una persona umile è essenzialmente modesta, priva di superbia e di conseguenza, non si ritiene migliore o più importante di altri.
Il termine “umiltà” deriva dal latino “humilis” ossia “proprio della terra” (humus equivale al terreno fertile); si tratta, senza dubbio, di una delle virtù più difficili da attuare, in quanto comporta la rinuncia ad ogni vana compiacenza di sé, ma al contrario di quanto ritiene il moderno luogo comune, è mossa da una massiccia dose di intelligenza e coraggio, in quanto l’individuo accetta il dovere di relazionarsi con la società attorno a sé, usando moderazione ed equilibrio, frenando ogni impulso all’ambizione e all’egocentrismo, prendendo atto, serenamente e senza sconforto, della costituzionale finitezza di se stesso e del mondo.
Sin dai tempi di Socrate, il valore dell’umiltà è assai noto: il suo “So di non sapere” ne costituisce, ancora oggi, un pregevole esempio.
Nella storia dell’arte si registrano numerosi esempi illustri di raffigurazione laica, ma soprattutto religiosa, dell’umiltà.
Nella Bibbia quando Salomè, madre di Giacomo e Giovanni chiese a Gesù di concedere loro il privilegio di sedersi accanto al Signore nel giorno della gloria, Gesù spiegò che si trattava di un privilegio che non era autorizzato (Da Dio, suo padre) a concedere; vedendo la disputa tra i discepoli, disse: “Chiunque fra voi vorrà esser primo, sarà vostro servitore; appunto come il Figlio dell’uomo non è venuto per esser servito ma per servire” (Matteo 20, 27-28). Nella storia dell’arte, a ricordare questo passo biblico è uno splendido dipinto, inizialmente attribuito a Tiziano ma realizzato da Bonifacio veronese (Bonifacio Pitati, Verona 1487-Venezia 1553) che porta il titolo “Gesù e la famiglia degli Zebedei”, conservato a Roma presso la Galleria Borghese.
La religione cristiana fa dell’umiltà uno dei cardini fondanti della sua dottrina; questo spiega le varie versioni iconografiche che soprattutto nel periodo medievale -ma non solo- vennero commissionate dal mondo ecclesiastico ai maggiori artisti dell’epoca.
Oggi l’opera è conservata nella Pinacoteca del Castello sforzesco, a Milano; nondimeno è la Madonna dell’Umiltà di Domenico di Bartolo, eseguita nel 1433 e conservato nel Museo Nazionale di San Matteo a Pisa; questo dipinto raffigura la Vergine Maria seduta a terra (contrariamente alle Maestà che hanno come soggetto la Madonna posta sul trono, in quanto Regina del Cielo).
Stessa caratteristica presenta l’opera omonima di Giovanni di Paolo, esposta al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid e più ancora, quella del Mantegna, conservata al Museo di Castelvecchio a Verona. Ancora una volta l’arte crea un percorso che aiuta lo spettatore non solo ad osservare la celebrazione dell’umiltà come virtù, ma attraverso i grandi maestri della storia antica e moderna, invita a riflettere su come si possa attingere conoscenza e sapienza dai concetti che le opere artistiche sanno comunicare con l’utilizzo delle immagini visive.
Anna Rita Delucca (09/11/2024)