<POMPILIO MANDELLI.Astrazione e realtà – Articolo di A.R.D. Pubblicato in Contemporart, N.18/38,Anno XI,1995, Edizioni Ghirlandina, Nonantola (Mo),pp.32,33
Testo:
Nella suggestiva cornice dello storico palazzo bolognese che nell’ XI secolo fu fastosa e quanto mai forzata residenza del leggendario re Enzo di Svevia, tra gli splendidi affreschi del salone del Podestà si è potuta ammirare l’interessante antologica ,conclusasi il 3 settembre, di Pompilio Mandelli, organizzata e patrocinata dal Comune insieme con l’Assessorato alla Cultura e la Galleria d’Arte Moderna. L’artista, reggiano di nascita ma residente a Bologna sin dagli anni Venti ,quando frequentò il liceo artistico ,ha esposto una vasta serie di opere realizzate durante l’arco della sua vita,dagli esordi fino ad oggi.L’allestimento e l’organizzazione generale della mostra hanno consentito ai visitatori di addentrarsi nel mondo complesso dell’arte di Mandelli per cogliere appieno i frutti del suo lungo e sofferto processo d’innovazione e perfezionamento.L’itinerario espositivo partiva dunque dagli anni Trenta ,periodo in cui il pittore ,giovanissimo,subiva ancora il fascino sottile dei grandi maestri Giorgio Morandi e Virgilio Guidi (un chiaro riferimento è il “Ritratto di Graziella” del 1936 ma pure “colline bolognesi” del ’41). A cominciare dagli anni Quaranta la sua evoluzione spirituale lo spinse ad accrescere la propria personalità che in pittura veniva espressa sempre più da una lucida volontà di costruzione e di ordine nell’immagine visiva.Successivamente questa volontà ebbe modo di trasformarsi in maniera particolarmente originale proprio attraverso l’evoluzione delle forme per le quali Mandelli desiderava ormai uscire dalle regole apprese in gioventù liberandosi completamente da ogni schema precostituito: i colori dunque si accesero vivendo di una luce felice come felice fu ,probabilmente, tutto quel periodo in cui egli ebbe occasione di esporre insieme ad un gruppo di artisti bolognesi che in seguito sarebbero divenuti i grandi Ciangottini, Minguzzi, Borgonzoni e Rossi,fondatori della ormai storica galleria “Cronache”, nel 1945. Al ’45 risale anche il viaggio a Parigi compiuto insieme ad Aldo Borgonzoni: si tratta di una tappa fondamentale per lo studio diretto dei pittori impressionisti(ne “Le Pont des Artes” la vena francese è appena percettibile, arricchita com’è da una originalità di stile dove passione e pulsazione vitale emergono a tal punto che Francesco Arcangeli presentando una personale dell’artista al Caffè Nazionale di Modena, soggiunse:”…Mi pare che egli tocchi il suo traguardo più personale nel “Pont des Arts”….”
La ordinata mostra bolognese si è occupata anche di mettere in risalto la significativa serie di opere degli anni Cinquanta: in quell’epoca Mandelli aveva già ottenuto vari riconoscimenti come il Primo Premio alla “Mostra Nazionale del Paesaggio Reggiano” insieme a Carlo Mattioli e il Premio Nazionale di Pittura per la Casa di Cremona, avvenimento divenuto oggetto di polemica da parte del grande Carlo Carrà,membro della commissione giudicatrice,il quale si alterò non appena vide esposta la tempera mandelliana intitolata “Pittura” non volendo accettare il fatto che il pittore emiliano avesse sbaragliato la tradizione figurativa e fosse in grado di proporre al pubblico opere innovative costituite di linee,reticolati, densi filamenti e raggrumi di materia pittorica :da quel momento cominciò a dedicare il proprio ingegno ad una ricerca specifica mirante all’unione di due concetti basilari (ma opposti)dell’arte:realtà(o natura)e astrazione (o immagine). Questa profonda ricerca,pure permeata sul riflesso del post-cubismo,era già proiettata verso il futuro come dimostrano le nove opere presentate alla Biennale veneziana del ’52 . “…Mandelli mostra una più maturata sicurezza .Dopo lunghi, talvolta faticosi scandagli ,le strutture di origine cubistica si mostrano ora, anche in tele di dimensioni notevoli,assorbite in un discorso personalmente filtrato; facendo tutt’uno con quelle doti di tavolozza e di timbri sottili che son sempre stati il possesso più diretto del pittore…”(Francesco Arcangeli).Lo studio della figura prosegue di pari passo con l’innovazione pittorica ed è legato al forte sentimento per la vita e per la natura,con tutto il bene o il male riservati all’essere umano.
A proposito della “Lettrice” e della “Figura in giallo e rosso”,presenti alla mostra bolognese, Giancarlo Cavalli ha detto:”L’indagine ha toccato più a fondo la stessa radice umana e figurativa, paesaggio e figura possono convivere della stessa sostanza e battere insieme alla medesima origine. Non più la larva, l’impronta o la farfalla, sensazione improvvisa,commozione bruciante ma un amalgama di materia vivente,accesa, che dà corpo a un segno reale…”.
Gli anni Sessanta segnano una forte crisi dell’informale ; l’artista prosegue la sua indagine giungendo ad un ulteriore consolidamento della materia pittorica accrescendone dunque il potere di suggestione (come in “Colline d’autunno” del ’64).
Nel ’70 Arcangeli realizza uno studio monografico sul tema specifico delle ‘Figure’.Da quel momento fino alle opere più recenti (tipico esempio sono le splendide “Scogliere”),Mandelli accentua e rafforza sempre maggiormente il proprio vigore pittorico dando vita ed emozione a quel che di più statico esiste in natura: rocce e pietre. Ma quale sarà il segreto di questo pullulare di vita nell’opera di un personaggio che suo malgrado ha dovuto assistere alle terribili fasi salienti della storia italiana del Novecento senza mai rinunciare agli ideali dell’arte vera anche nei momenti più duri e sfavorevoli? La risposta di Mandelli giunse nel 1988 ad un’intervistatrice :2…Ricorda le ultime opere di Tiziano ,di Turner, di Monet? L’ultimo mio periodo va verso la libertà”.
A.R.D. Anno 1995 (Copyright)
Citazione del testo nell’ultima pagina di bibliografia su catalogo mostra antologica di Pompilio Mandelli, a cura di Pier Giovanni Castagnoli, Palazzo re Enzo,Salone del Podestà, 30 giugno-3 settembre 1995. Grafis edizioni