7 ottobre 1962-2022. Sessant’anni fa il Cardinal Lercaro posò la prima pietra
Nella periferia sud-est del capoluogo emiliano-romagnolo, sorge un piccolo agglomerato urbano dall’aspetto ordinato e squadrato, secondo il tipico stile anni Sessanta del secolo scorso, al centro del quale si staglia una grande piazza in cui domina un edificio di culto essenziale, solido come i rossi mattoni, a vista, con cui è stato costruito: è la chiesa parrocchiale di Nostra Signora della Fiducia.
La storia alquanto recente, del Villaggio Due Madonne e della sua parrocchia, è una storia di rinnovamento, di solidarietà e attività comunitaria, ma oggi, ci narra anche dell’arte presente nel proprio edificio di culto, quanto del passaggio di eccellenze memorabili per la cultura ecclesiastica del Novecento, come il Cardinal Lercaro che ordinò la fondazione della chiesa o ancora, il Cardinal Giacomo Biffi, nel 1988, fino a don Oreste Benzi, nell’ anno 2007.
Il contesto comunitario formatosi, nel tempo, attorno alla Parrocchia di Nostra Signora della Fiducia, ebbe origine proprio con la nascita del Villaggio Due Madonne, nel 1956, grazie ad un progetto voluto dalla INA Casa, un piano statale d’intervento strutturale nazionale, per l’edilizia sia pubblica che privata, ideato dal ministro del Lavoro, Amintore Fanfani, tra il 1949 e il 1963, piano che divenne storico per la sua imponenza, poiché modificò l’assetto territoriale del paese trasformando vastissime campagne incolte, in quartieri e centri abitati, disponibili per la popolazione reduce dalle distruzioni della seconda guerra mondiale.
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In effetti, proprio a partire dal 1958, cominciarono ad insediarsi le prime famiglie a cui erano state assegnate le abitazioni; si trattava per lo più, di nuclei d’ impiegati statali provenienti da tutte le parti d’Italia, molti dei quali emigrati dal sud. A questi si unirono gruppi familiari formati da artigiani e lavoratori. Si costituì, perciò, un abitato composto soprattutto, da dignitose famiglie di modesta estrazione ma furono proprio loro il perno che permise, nel corso degli anni, di rifondare le radici economiche e sociali dell’Italia, dopo le tragedie della guerra; dal punto di vista storico/sociale, indubbiamente, una nota di merito va al ministro dell’epoca.
Di certo, non è degna di merito la sproporzione con cui, negli anni del boom economico, si portarono avanti migliaia di progetti edilizi sfrenati, sprezzanti dell’ambiente, disattenti verso la qualità della vita, tanto che nel nuovo millennio, assistiamo alla presenza di interi quartieri dormitorio, di palazzoni dall’estetica di dubbio valore, che paiono alveari, privi di strutture ricettive e aree verdi, poco vivibili, così come appaiono nelle periferie di molte città italiane, soprattutto nel sud.
Ma tale non è il Villaggio Due Madonne.
In pochi sanno che quello stile sobrio che caratterizza il suo comparto edilizio, fu elaborato da uno studio dettagliato e piuttosto costoso di un gruppo di progettisti tra cui un noto architetto romano, Luigi Vagnetti, che realizzò varie opere rilevanti tra cui la Cappella della U.D.A.C.I nella capitale (1957) e la sede della Banca d’Italia a Cremona (1955).
Purtroppo, il piano per il complesso parrocchiale studiato dal Vagnetti, risultò di gran lunga oneroso per la comunità.
Il progetto piuttosto ambizioso dell’architetto, prevedeva un complesso di strutture murarie composto dalla chiesa parrocchiale, dal battistero a pianta ottagonale, una cappella per l’Eucarestia da adibire anche a chiesa feriale, una sacrestia; ma prevedeva, pure, una sala di ricezione con oltre quattrocento posti e per finire, un cavalcavia che collegasse la canonica con il resto delle opere parrocchiali.
In sintesi, doveva sorgere una sorta di piccolo complesso religioso e aggregativo, posto nel cuore del più ampio complesso rionale.
I numerosi parroci succedutisi nel corso dei decenni, si sforzarono alacremente, con l’aiuto della comunità, per riuscire a concretizzare il progetto, almeno in parte; addirittura, qualcuno si indebitò ma si ottemperò agli impegni grazie anche all’aiuto dei parrocchiani, alle collette. Si dovette, comunque, rinunciare al battistero, al cavalcavia, alla cappella dell’Eucarestia e alla sala spettacolo da quattrocento posti che, però, fu ricavata lo stesso sebbene in dimensioni più ridotte, nell’area interrata, sotto la chiesa e la provvidenza consentì, pure, di realizzarvi una piccola palestra.
I primi ad imbarcarsi nell’avventura di creare una nuova comunità parrocchiale al Villaggio, furono i Missionari O.M.I. (Oblati Milizia dell’Immacolata): correva l’ anno 1958.
Il 7 ottobre del 1962, Lercaro pose la prima pietra simbolica di edificazione e in attesa che partissero i lavori (attesa che però si prolungò per ben dieci anni), venne posizionato un piccolo prefabbricato dove si celebrarono le funzioni, matrimoni, cresime, prime comunioni e tutte le attività di culto ufficiale.
Tali furono, dunque, gli esordi: umili e discreti ma pieni di fiducia e voglia di fare.
Nel corso del tempo la comunità crebbe e si sviluppò realizzando moltissime iniziative, non solo religiose ma anche sociali e culturali, tanto che dopo sessant’anni dalla posa della sua prima pietra, l’edificio ecclesiastico si è arricchito di opere d’arte di ragguardevole valore estetico, create da noti artisti d’eccellenza, come il maestro ceramista Angelo Biancini e l’ artista iperspazialista, Luisa Bergamini oltre che da brillanti scultori come l’altoatesino Goffredo Moroder il quale nel 1996, su commissione dell’allora parroco Mario Amedeo, realizzò la statua lignea del santo francese, Eugenio di Mazenod, capostipite della Congregazione dei Missionari Oblati (1816), padri fondatori della parrocchia.
Il ritratto del santo lo si ritrova anche nella sacrestia, in una delle vetrate finemente lavorate su plexiglass, dal religioso mosaicista, Padre Paolo D’Errico, che ha realizzato anche i motivi a tessere colorate, delle finestre nella chiesa feriale e la lunetta posta sopra al tabernacolo, con la scena sacra dell’Ultima Cena.
All’interno della chiesa festiva si può ammirare una pregevole riproduzione della Madonna col Bambino del Rossellino, realizzata in terracotta dalla bolognese Sara Berti e alcune icone in stile tipico bizantino, della carrarese Mary Gabriele Trifirò ideatrice, pure, del tabernacolo in argento, per il quale la forgiatura a sbalzo venne commissionata al noto orafo bolognese, Scanabissi.
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Anche il ritratto della Madonna della Fiducia, emblema portante della sede di culto del Villaggio Due Madonne, ha una storia curiosa che rispecchia fedelmente, la natura e il significato di umiltà e sobrietà caratterizzante la vita parrocchiale: infatti l’immagine della Vergine col Bambino venne consegnata il 21 settembre 1957, quando la comunità prese il via e perciò, si riuniva ancora nel piccolo prefabbricato.
Si trattava di un’umile stampa tratta da una copia dell’originale dipinto settecentesco, realizzato per il convento delle clarisse di San Francesco a Todi, ma la comunità accettò felicemente, il dono.
Si dovette attendere il 1972 perché i parroco di allora, riuscisse a commissionare ad un parrocchiano pittore, Giovanni Salvadore, un bel dipinto che producesse l’immagine originale della Madonna della Fiducia corredata da una ricca cornice lignea dorata e rifinita in argento, da un altro volenteroso parrocchiano e artigiano del legno, Livio Balletti.
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Al noto maestro ceramista Angelo Biancini, si devono invece, la splendida e modernissima statua della Madonna col Bambino posta a monumento, nella grande parete sull’ altare maggiore della chiesa festiva e i quattro evangelisti policromi, nella facciata esterna della chiesa.
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Le dimensioni del bassorilievo raffigurante la Vergine sono notevoli: più di quattro metri d’altezza ed è contornata da una ricca decorazione a scacchiera con i simboli del Cristianesimo delle origini. La vivacità cromatica è davvero interessante come pure lo stile asciutto, essenziale, tipico dello scultore romagnolo il quale sempre nella vita, si servì delle sue cospicue nozioni espressioniste, intrise di quei caratteri dell’avanguardia novecentesca, da cui passarono gli artisti innovatori, dal dopoguerra in poi.
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Le quattro grandi ceramiche raffiguranti i santi evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni, spiccano già ad ampia distanza, sullo scarno muro in mattoni rossi, della facciata e invitano al raccoglimento oltre che al rispetto per il luogo in cui si sta per entrare; domina, infatti, un’ austera essenzialità, tipica dello stile scultoreo paleocristiano a cui importava non tanto, la mera estetica artistica quanto la volontà di comunicare il messaggio cristico.
Angelo Biancini, fu un importante maestro della ceramica faentina e le sue opere costellano numerosi luoghi monumentali e museali sia in Italia che all’estero, come ad esempio i Musei Vaticani, a Roma.
E’ certamente un vanto per la comunità bolognese del Villaggio Due Madonne, essere custode di opere dell’artista che le realizzò e istallò nell’anno 1974, con l’ausilio del progettista del comparto residenziale e parrocchiale, l’architetto Vagnetti.
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Nell’area interna principale della chiesa sono presenti ulteriori opere monocrome, di pregevole valore stilistico: il grande pannello dedicato all’opera missionaria degli Oblati, Evangelizare pauperibus misit me e le quattordici Stazioni della Via Crucis, dell’ artista Luisa Bergamini, nota per le sue opere concettuali esposte in mostre come la Biennale di Venezia o presenti in collezioni sia pubbliche che private come la Fondazione Lercaro, La Biblioteca Centrale Nazionale di Firenze ed altri importanti enti istituzionali.
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Il pannello, di ampie dimensioni, fu ideato ed eseguito nel 1996, per omaggiare Sant’Eugenio di Mazenod e la sua opera di missione nel mondo con gli Oblati di Maria Immacolata; il lavoro venne realizzato utilizzando un materiale inconsueto, la vetroresina, allo scopo di creare figure in bassorilievo, scavandole, quasi estraendole, dalla materia leggera, plasmabile con uno scalpellino pneumatico ma nel contempo, resa resistente, non scalfibile dal tempo o dagli urti, attraverso un sistema inusuale nelle le opere d’arte ma solitamente adibito per impermeabilizzare le imbarcazioni: infatti il pannello fu inviato dall’artista, presso un cantiere atto a tale, specifico, trattamento.
Allora azzardiamo un aggancio alla simbologia: quella di una barca leggera ma che sa reggere i colpi, che ci salva come la piccola imbarcazione con cui Gesù protesse gli apostoli sulle acque del lago Genesaret, placando il vento e la tempesta.
La scena scolpita, ci mostra una anonima quanto misera stirpe umana che invoca la carità del Signore mentre porta, con fede, la croce del mondo; una catena d’ amore prende il via dalla missione di un fratello verso il fratello e si espande in tutta la terra, grazie alla fiducia nell’insegnamento del Padre, attraverso il sacrificio del Figlio, simboleggiato dal grande crocifisso.
Il messaggio dell’artista è chiaro: non si può prescindere dalla carità e dalla parola di Gesù se si mira, davvero, a sconfiggere la fame terrena e quella spirituale.
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Le quattordici Stazioni della Via Crucis sono dislocate lungo le colonne che compongono la navata centrale della chiesa e sono anch’esse, monocromatiche proprio per sottolineare ancora una volta, un concetto di sintesi, di semplicità e unità del messaggio che l’artista vuole trasmettere alla comunità, integrando tutte le sue opere d’arte al contesto architettonico dell’edificio sacro, scarno e privo d’orpelli, che le deve contenere.
La realizzazione della Via Crucis è antecedente al grande pannello in vetroresina: essa infatti, risale al 1990 e fu ideata su richiesta del parroco di allora, poiché la chiesa ne era ancora priva ma la comunità possedeva modeste risorse economiche.
La generosità e l’impegno dell’artista non si fecero attendere e dopo molti mesi di studio e lavoro, Luisa Bergamini plasmò, una per una, le quattordici tappe del travaglio cristico prima di giungere al Golgota.
Una raffigurazione sintetica, silente, statica, in cui poche linee a rilievo su di un anonimo fondo in cemento, racchiudono tutta la l’intensità della narrazione evangelica, con il suo dramma, trafigge l’occhio di chi osserva e pian piano, coglie i dettagli, coglie il lento movimento dei personaggi che emergono, poco a poco, dalle pieghe scolpite nella cruda materia; personaggi senza volto, anonimi come coloro che prendono su di sé la propria croce e s’incamminano per le vie del mondo.
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La frugale Nostra Signora della Fiducia a sessant’anni dalla posa della sua prima e simbolica, pietra, nonostante il tempo l’ abbia adornata con la sobria bellezza di una vera e propria collezione di opere d’arte, conserva intatta quella peculiare semplicità che la gente comune percepisce vicina a sé: nota non trascurabile in un’epoca che cambia repentinamente e perde di vista l’ umiltà, un valore che sarà sempre una pietra angolare della dottrina di Cristo.
Anna Rita Delucca (19 luglio 2022)
Alcune fonti di studio:
Giuseppe Guerzoni, Parrocchia di Nostra Signora della Fiducia.50 anni di vita comunitaria, DG edizioni, Bologna,2007
Fallani, Mariani, Mascherpa, Collezione vaticana d’arte religiosa moderna, Milano, Silvana Editoriale d’arte, 1974
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